sabato 12 novembre 2011

Siamo giovani volenterosi, ora tocca a noi!

Nei giorni successivi alle alluvioni di Genova e del Levante ligure i protagonisti, oltre alle vittime dei disastri e ai soccorritori, sono stati i giovani. I giovani che sono accorsi in quelle terre colpite dalla furia della natura armati di vanghe per rimuovere il fango che i corsi d’acqua hanno lasciato nei centri colpiti dalle esondazioni e i detriti che hanno travolto veicoli, oggetti e in qualche caso anche vite umane. Quei ragazzi non erano coinvolti in prima persona dai disastri del maltempo ma si sono ugualmente sentiti in dovere di correre ad aiutare, chiamati da quello spirito di solidarietà e altruismo che alberga nella “meglio gioventù” che, per fortuna, esiste sempre. In questo tempo in cui prevale l’egoismo, in cui si preferisce chiudere gli occhi di fronte ai problemi altrui quelle foto provenienti dai territori devastati da frane, alluvioni, allagamenti, quelle immagini con giovani sorridenti seppur affaticati dall’impegno gravoso ci fanno ben sperare. Possiamo dire a gran voce che le nuove generazioni non sono tutte tv e alcol, disimpegno e discoteca: siamo in tanti a volerci impegnare per il nostro futuro. Siamo in tanti a voler rimboccarci le maniche e a rinunciare a dire “così va il mondo”. Siamo in tanti a prendere coscienza dei problemi di oggi e proporre soluzioni per domani, quando sarà il nostro turno.
I ragazzi che a Genova e nelle Cinque terre hanno aiutato la gente a ritrovare un po’ di normalità nelle vite squassate dalla violenza di un fiume in piena sono un bell’esempio per tutti. Alessandria ha conosciuto la distruzione portata dall’acqua, nel 1994, e anche allora tanti giovani scesero per le strade invase dal fango ad aiutare chi era stato colpito dall’alluvione. Qualcuno si ricorda di quei giorni, quando aveva 23, 24 anni e oggi ne ha qualcuno in più: i giovani sono sempre volenterosi ma anche i disastri provocati dall’uomo ci sono sempre. Cambiano le epoche, cambiano i volti dei ragazzi ma i problemi sono sempre gli stessi. Ingabbiare un fiume nel cemento te lo restituisce più furioso e violento di prima. Mancano le misure di sicurezza, manca la manutenzione, manca la previsione delle conseguenze. Non si può addossare la colpa solo su amministratori e politica, ma certo il grosso delle responsabilità sta lì. Ecco perché i ragazzi di Genova sono l’esempio soprattutto per quella politica che ha orizzonti limitati e che non si pone più da tempo il problema del bene comune.
Per quella politica che non si muove, che non fa il gesto fisico e mentale di “rimboccarsi le maniche”, ci sono tanti giovani che vogliono darsi da fare per la loro comunità e per il loro futuro. Anche Alessandria ha bisogno di futuro. Date ascolto ai giovani volenterosi, ridaranno dignità alla politica.

Stefano Barbero

mercoledì 2 novembre 2011

Sabato 5 novembre tutti a Torino con Pier Ferdinando Casini!

Sabato 5 novembre al NovHotel Santo Stefano, Via Porta Palatina 19 - Torino si svolgerà il convegno "6 mesi dal voto: quale futuro per Torino?", relatori il Prof. Pietro Terna e il nostro capogruppo in consiglio comunale, l'avvocato Alberto Musy, candidato sindaco del capoluogo piemontese per il Terzo Polo.

Conclusioni affidate al nostro leader PIER FERDINANDO CASINI!
Intervenite numerosi, andiamo in massa dalla provincia di Alessandria!

mercoledì 19 ottobre 2011

Senti chi ha Parlato

Di tutto il dibattito post-15 ottobre, oltre a quello che hanno già detto tutti, rimane da approfondire un fatto. Si tratta del controverso editoriale di Valentino Parlato sul Manifesto, in cui dice che la devastazione di Roma ad opera dei blackbloc è stata “istruttiva”. In un’intervista a Repubblica ha cercato di aggiustare il tiro, ma la frittata è fatta: dalle colonne del quotidiano espressione della sinistra movimentista ha fatto rimbalzare quel fatidico aggettivo, quell’”istruttivo” che per quanto mi riguarda assocerei a tutto meno che alla prevaricazione e alla distruzione.
Ma la penna storica del giornalismo di sinistra ci ha sorpreso. Nei giorni scorsi, tra mille editoriali di condanna, mille voci di sdegno per i fatti di Roma (indignati, sì, ma dall’orrore di quelle scene) la sua si distingueva perché in difesa dei facinorosi: le violenze per le strade sono istruttive, insegnano ai potenti che servono misure che vadano incontro ai giovani, sono servite da lezione, hanno avuto il pregio di bacchettare una classe dirigente egoista e indifferente. Stupisce che un uomo della sua esperienza, del suo senno possa partorire simili considerazioni. Come si fa a considerare istruttiva la violenza? Mi piacerebbe averlo davanti, il dottor Parlato: gli direi che la gentaglia che ha devastato tutto quello che trovava lungo il suo percorso non erano i giovani indignati che protestano contro la finanza. Gli direi che quei mascalzoni non hanno fatto molte distinzioni su cosa andare a distruggere, visto che le macchine arse erano perlopiù utilitarie di semplici cittadini, non super-ricchi. Gli direi che questi delinquenti specializzati nella barbarie non hanno i problemi dei giovani che volevano manifestare, ma sono individui che hanno talmente tanto tempo libero e pochi pensieri da poter organizzare queste azioni criminali (non a caso hanno seguito un “master” di guerriglia urbana dagli amici greci). Gli direi che nel corteo di sabato c’erano disoccupati, operai, famiglie, pensionati, studenti, tutte categorie che in questi giorni stanno soffrendo e hanno quasi finito le lacrime per piangere, e sono stati messi all’angolo, la loro protesta cancellati, ammutolita dalla furia rabbiosa degli incappucciati.
Invece Parlato dall’alto della sua cattedra definisce istruttiva la violenza cieca. Prima di scrivere articoli per il suo giornale dovrebbe fermarsi un attimo a pensare. Non è difficile accorgersi che la gente onesta, stufa e indignata è stata scavalcata dai professionisti della violenza. La protesta civile è stata calpestata: che effetto ha avuto la manifestazione di Roma, se non quello di inimicarsi proprio quelli cui si rivolgevano gli indignati? Crede davvero Parlato che il vandalismo scuoterà le coscienze della politica e della finanza e queste si impegneranno per andare incontro alle richieste del popolo? O forse succederà il contrario? Impauriti, in tensione, i poteri saranno ben più attenti a ciò che concederanno, tanto per i violenti non sarà mai abbastanza.
E dire che Parlato dovrebbe essere un apologeta della nonviolenza. Dov’è finito l’insegnamento di Gandhi, che una volta era il nume tutelare della sinistra, prima di diventare trasversalmente di moda? Quando vedremo veramente applicate le teorie di un uomo che ha portato alla gloria un popolo senza lasciare morti e feriti sulle strade, ma con la sola forza delle idee, col coraggio delle proprie idee? Parlato ha considerato le idee? Nel gesto inqualificabile dei violenti ha intravisto delle idee? Ha intravisto un disegno, l’inseguimento di una speranza? La verità è che non c’è nulla di tutto questo, nel cuore e nella mente di chi lancia un sampietrino contro i carabinieri, o incendia la macchina di un privato cittadino che trova sul suo percorso. Lo spirito che anima e arma questi incivili è solo l’amore, l’attaccamento alla pura e semplice violenza, la volontà di voler “spaccare tutto”, di rovesciare il mondo in cui vivono, la meschinità del muoversi incappucciati e in gruppo. La cittadinanza che era scesa a Roma per sfilare con slogan e bandiere pacifiche, atterrita di fronte al disvalore, al disprezzo delle regole e della civiltà non ha potuto far altro che subire, salvo qualche raro caso. Che messaggio hanno lanciato ai destinatari della protesta, se non hanno neanche potuto esprimersi?
Maneggiamo con cura le parole che ci escono di bocca. Certuni, come Parlato, hanno il piglio del controcorrente. Chiudiamola qui con le provocazioni di maniera: ci sono situazioni in cui non c’è opinione che regga. C’è chi sta dalla parte giusta e chi da quella sbagliata. E nel caso del disastro romano è presto detto chi ha torto. O forse abbiamo noi torto, noi che pensiamo che sia ancora possibile fondare un futuro umano e giusto sulla civiltà, la convivenza, il confronto, la proposta, mettendo a tacere i cattivi maestri, che con un aggettivo leggero legittimano la barbarie di chi riesce persino a distruggere l’innocua statua di una Madonna. Senti chi ha Parlato: un sognatore.

Stefano Barbero

La risposta di Valentino Parlato, pubblicata sul quotidiano comunista.
Care compagne e cari compagni, il mio editoriale di domenica ha provocato un fiume di repliche, di consenso e, molte di più, di dissenso. Mi impegno a rispondere a tutte queste lettere; scriverò una risposta a tutte e tutti ma qui, sul giornale di oggi, la mia risposta sarà generale e breve. La manifestazione di sabato è stata enorme e importantissima dal punto di vista politico e culturale. Centinaia di migliaia di persone a Roma non è cosa da trascurare. In questa enorme manifestazione ci sono stati gli interventi di una componente, piuttosto militarizzata di estremisti, i quali hanno messo a rischio il significato e la portata della manifestazione. Alcune centinaia contro centinaia di migliaia. Già sabato sera, mentre scrivevo, mi rendevo conto che l'indomani tutti i giornali avrebbero titolato sulle violenze e non sulla manifestazione. Così è stato e mi viene da scrivere che tutta la grande stampa italiana ha dato il massimo rilievo agli estremisti piuttosto che alla manifestazione. Questo è il primo esito che pensavo si dovesse evitare: enfatizzare il rilievo politico, sociale e culturale della manifestazione dei violenti.Non si poteva e non si doveva dare la priorità ai guastafeste, chiamiamoli così. A questo punto mi è venuto il problema di dare un giudizio sui cosiddetti "guastafeste". Nemici pagati dal potere esistente o soggetti che sbagliano? Non ho pensato e non penso che i black bloc siano agenti pagati dal nemico e ho scritto che in una situazione di estrema tensione, come quella che oggi viviamo, l'asprezza dello scontro, la sua profondità possano provocare manifestazioni (dannose) di violenza, che pure hanno una giustificazione nella attuale gravità della crisi del nostro paese e della nostra società. Come a dire, se ci sono i black bloc vuol dire che viviamo in una situazione di estrema e drammatica tensione. Insomma o questi violenti sono pagati dal nemico (e non credo) o sono anch'essi una espressione della crisi nella quale siamo. In tutti i modi non si può dare a questi estremismi negativi il protagonismo politico e sociale. La manifestazione di sabato scorso resta e pesa, non può essere cancellata da loro. Ma mi impegno a rispondere a tutti, con lettera personale.

sabato 1 ottobre 2011

Chi parla di secessione è fuori dalla realtà


E' il ritorno alla Lega delle origini, quel movimento di lotta che rappresentava gli interessi del Nord oppresso da Roma ladrona. E' il tuffo all'indietro di un partito che si è istituzionalizzato, che ha conquistato le poltrone, che in definitiva ha perso il contatto con la sua gente. Oggi Bossi torna a straparlare inneggiando alla secessione, un refrain noto per chi segue le alterne vicende di questo pirotecnico uomo politico. Lo fa in un momento in cui regna il caos: crisi economica, turbolenze parlamentari, disagio sociale. Ecco che la Lega rispolvera gli slogan del passato. Ricevendo sonore bacchettate dall'unico faro che in questo momento illumina l'agitato mare nero italiano, Giorgio Napolitano, che in una memorabile dichiarazione ha affermato "Chi parla di secessione è fuori dalla storia e dalla realtà". E' esattamente così, caro Bossi, caro Calderoli, cari tutti i saltimbanchi della Lega: l'Italia è soltanto una, questo è l'anno in cui da Nord a Sud la si festeggia, e checché tentiate di mettere in discussione tutto quello in cui crediamo l'Italia continua a rimanere un Paese che unisce un popolo che va da Bergamo a Catania, da Udine a Potenza.
Scandaloso che quest'odio, quest'avversione così manifesta per quella che è la nostra PATRIA provenga da uomini che ricoprono incarichi di governo, esponenti di una maggioranza che hanno giurato dinanzi al presidente della Repubblica di non tradire mai la Costituzione, di rispettarla, difenderla e preservarla. Questi individui non hanno il minimo senso della sacralità dei valori scolpiti su quella Carta, valori faticosamente affermati dopo anni di lotte, anche intestine, di fatiche immani, di sacrifici.
Chiediamo a gran voce che i ministri che vaneggiano sogni secessionisti si dimettano, farebbero un favore a se stessi e all'Italia, quel Paese che non riconoscono. Se hanno una coscienza lo faranno, ma abbiamo seri dubbi che ne abbiano una. E lo faranno se vorranno ridare un po' di dignità a questa politica umiliata da una mediocre e incapace classe dirigente, ma anche in questo caso sappiamo che non è nelle loro intenzioni. La cosa certa è che questi signori non lasceranno mai i posti di potere guadagnati, sono troppo attaccati a quella poltrona contro cui in un'epoca non troppo lontana gridavano dai palchi delle adunate padane.
IO ESISTO E SONO ITALIANO

Stefano Barbero

martedì 27 settembre 2011

Non è un Paese per giovani, nonostante la Meloni

“La Camera approva”: risuonano queste parole nell’aula di Montecitorio al termine della votazione finale sul ddl Meloni, la legge che il ministro delle politiche giovanili ha portato in Parlamento. Cuore della sua proposta, l’abbassamento della soglia di età per l’elettorato passivo di Camera e Senato: 18 anni (anziché 25) per la prima e 25 (in luogo dei 40 fissati dalla Costituzione) per il secondo. La bionda ministra esulta, il provvedimento è passato, ora anche i neodiciottenni potranno essere eletti a Montecitorio. Fantascienza? Chi lo può dire, portare un po’ di freschezza in quelle vetuste aule, un po’ di gioventù su quegli scranni non sarebbe una cattiva idea, e forse c’è davvero qualche partito che candiderebbe volentieri un teenager.
Ipotesi future o quantomeno futuribili. Nel frattempo emergono molte valutazioni contrastanti sulla reale utilità della legge. La domanda è: era davvero necessario abbassare l’età per essere eletti ai massimi consessi rappresentativi per dimostrare che oggi l’Italia è un Paese per giovani? Guardiamo la vita di tutti i giorni, il mondo del lavoro per esempio: c’è reale possibilità di accesso spendendo i titoli conseguiti, oppure i giovani trovano mille difficoltà prima di stabilizzarsi economicamente e rendersi indipendenti da papà e mamma? Il Parlamento, composto da questi lungimiranti statisti (sic) ha mai immaginato una legislazione favorevole all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che non fosse attraverso contratti volatili e quasi umilianti? Sono state mai messe in campo misure per il ricambio generazionale nelle aziende, nel settore pubblico come in quello privato, nella politica, che è il loro campo? La risposta a tutte queste domande è una sola: no. Giovani neolaureati con fior di punteggi trascorrono i loro giorni a inviare curriculum a destra e a manca, salvo poi accontentarsi del lavoro che non avrebbero mai desiderato. I diplomati si sono arresi prima: in un Paese dove chi ha titoli più rilevanti è a spasso, un impiego remunerativo e rispondente a certe esigenze è un lusso.
Questa è l’amara realtà, riassunta in una battuta infelice ma efficace: l’Italia non è un Paese per giovani. E non lo è nonostante la trovata di Giorgia Meloni, energica titolare delle politiche giovanili, non abbastanza da trovare soluzioni strutturali alla questione generazionale che investe il Paese.
Il Parlamento si è messo la coscienza a posto. Ci chiedevate di fare di più per i giovani? Eccovi accontentati: ora anche i ventenni possono diventare senatori. Saremo esigenti, signori parlamentari, ma non basta. Senza contare la presa in giro. La politica in Italia è in mano agli stessi da anni, in qualche caso da decenni. C’è mai stato qualcuno che abbia investito sui giovani, favorendo questo famoso “ricambio generazionale” almeno in politica? Il discorso è semplice: il Paese chiede rinnovamento, perché non cominciare dalle mie liste, dovrebbe ragionare un politico. Ma lo si è mai fatto? Si nota un interesse a chiudere dentro strette mura elitarie quella che dovrebbe essere il vivaio di una buona gioventù, la gioventù che si interessa dei problemi del Paese in cui vive, che vorrebbe partecipare alle decisioni e intervenire nell’elaborazione di prospettive per il futuro. Oggi più che mai questa chiusura si è accentuata, anche a partire dagli stessi consigli comunali, il punto di partenza per eccellenza del cursus honorum di un giovane impegnato in politica.
Già, il consiglio comunale. La bionda ministra non poteva pensare a quello? Perché preferire la via demagogica a quella ragionata, meditata? Troppi sono i casi di “raccomandati” che varcano le soglie di aule importanti senza aver mai fatto nulla prima, senza mai essersi impegnati, senza mai aver provato cosa significa amministrare una comunità e risolvere i piccoli problemi quotidiani della gente.  I vari Bossi, Minetti e tanti “nominati”, pardon eletti, per grazia ricevuta del segretario che confeziona le liste non ci hanno insegnato nulla?
Questo provvedimento è da bocciare: per la buona politica si deve partire dal basso, dove l’impegno è per forza di cose disinteressato. Una volta c’era la gavetta, oggi si diventa deputati per altri meriti.
Saremo grilli parlanti, ma la Meloni dovrebbe interessarsi di più a studiare misure per favorire l’occupazione giovanile, per dare la possibilità ai giovani di costruirsi una famiglia e affrancarsi dai genitori, per ridare un po’ di dignità e di valore allo studio. Insomma, investire sul futuro. Non tutti i giovani italiani vedono il posto in Parlamento come un lavoro da fare dopo il liceo, anche se alcuni “figli di” il futuro in politica come professione ce l’hanno già assicurato, e altri seguiranno i consigli del saggio Berlusconi che alla ragazza ansiosa per il suo futuro rispose: “Sposati un uomo ricco”.

Stefano Barbero

L'articolo è anche presente sul sito di Pier Ferdinando Casini, raggiungibile al link:

martedì 20 settembre 2011

Barosini e la corsa a Palazzo Rosso: l'intervista ad AlessandriaNews


Barosini: “Sarò il sindaco della gente”

I fallimenti della giunta Fabbio, ma anche Rita Rossa come “ritorno al passato”. Il leader Udc, presidente del consiglio provinciale, è scatenato, e si prepara ad una lunga maratona: l’obiettivo è la conquista di Palazzo Rosso
Gianni Barosini è “un estremista di centro”, come lui stesso si definiva fino a poco tempo fa sul suo profilo di Facebook. Dove il coordinatore provinciale dell’Udc di Alessandria conta già quasi 5 mila amici, a riprova non solo della sua popolarità, ma dell’uso costante ed attento del “mezzo” Internet. Lo incontriamo nel suo ufficio di Presidenza del Consiglio Provinciale. E’ scatenato ed entusiasta, un fiume in piena, che punta diritto su Palazzo Rosso.

Presidente, alle comunali di maggio lei sarà il candidato di tutto il terzo polo?
Il terzo polo è un cantiere aperto, che spero possa dare all’Italia una vera opportunità di cambiamento, moderata ma rigorosa. Ad oggi però non c’è ancora, per Palazzo Rosso, un accordo strutturato con Fli e Api, che spero possa naturalmente concretizzarsi. Io sono il candidato dell’Udc, perché il partito me lo ha chiesto, e perché ci credo davvero: è la logica conseguenza di un cammino di alternativa, per questa città. Non le sembra ce ne sia davvero bisogno?

Ricordiamolo, questo percorso…
Inutile girarci attorno: noi in Fabbio abbiamo creduto, e lo abbiamo sostenuto contro la Scagni. Ma ci ha profondamente deluso, e ben presto ci siamo accorti dove stava andando, con quali scelte e in quale pessima compagnia. Ci siamo sfilati, coerentemente. Anche perché nel frattempo siamo diventati sempre più critici nei confronti di Berlusconi e dei suoi bluff: esattamente come tanti italiani moderati, e amareggiati. Nel 2009 abbiamo avuto un ruolo decisivo nella vittoria di Filippi e del centro sinistra in Provincia, e crediamo che la sua giunta stia operando bene. Le dico subito, in riferimento al balletto indecoroso e un po’ umiliante delle settimane scorse riguardo alle manovre del governo, che io sono favorevole ad un serio accorpamento delle Province, ma cancellarle mi sembra una mossa azzardata, propagandistica. Pochi risparmi, perché comunque le funzioni e i dipendenti andrebbero naturalmente mantenuti, e probabilmente tanti disagi, per tutti.


sabato 10 settembre 2011

Cambiare? I giovani ne hanno la forza

Sta per chiudersi l’edizione 2011 della festa nazionale dell’UDC, un evento che forse definire festa è un po’ riduttivo, così pieno di incontri e dibattiti, di riflessioni e scambi di idee. Ma a pensarci bene perché non dovremmo festeggiare? Il parco Fucoli è stracolmo di gente entusiasta che ha ancora voglia di credere nelle qualità di una buona politica che nonostante i cattivi esempi (purtroppo la maggioranza) riesce ancora a far parlare bene della categoria.
Potrebbero bollarci tutti per ingenui, o illusi, ma la verità è un’altra: non ci stiamo ad arrenderci allo sconforto e non ci stiamo ad accettare in modo rassegnato lo stato delle cose. Abbiamo un desiderio, che è una volontà: essere protagonisti del cambiamento. Siamo animati da una convinzione: la politica siamo noi, la facciamo con la nostra vita  quotidiana, con il nostro interesse.
E se la politica siamo noi, abbiamo tutte le carte in regola per costruire nuovi orizzonti che partano dalla partecipazione, dalle proposte e dalla condivisione. Noi siamo pronti, e lo abbiamo già dimostrato. Quanto ancora i giovani, ma non solo i giovani, dovranno subire le decisioni di una classe politica che non dà le risposte che attendono? E’ tempo di chiudere con i discorsi vuoti, i proclami, gli slogan. Si vuole investire sui giovani, che sono la linfa della politica? Allora il modo di agire, la soluzione, la “formula magica” c’è: i partiti, tutti, investano con convinzione nelle nuove generazioni, valorizzino questo capitale umano preziosissimo, coltivino la sana politica che non ha familiarità con il potere e le poltrone. Solo così si potrà attuare il tanto agognato rinnovamento. Noi crediamo nella reale volontà di Casini di svecchiare, anche e soprattutto nelle idee e nell’approccio alle problematiche, non solo nell’età anagrafica. E poi, chiaramente, il cambiamento non lo può fare solo una parte, c’è bisogno di un’intesa cruciale: di mezzo c’è il futuro, non buttiamo via questa irripetibile occasione.
Che Chianciano 2011 sia ricordata come la festa dei giovani.

Stefano Barbero